non c'è libertà senza passione!

«Non ho religione, non ho famiglia, a volte non ho nemmeno pensieri. Sono cresciuto prendendo calci e cercando di restituirli quand’era possibile. Un match lunghissimo con il destino che mi porto appiccicato. Giù io o giù lui. La partita non è ancora finita, chissà quale sarà l’epilogo». Così scriveva Franco Califano nel suo libro, “Il cuore nel sesso. Libro sull’erotismo, il corteggiamento e l’amore scritto da uno «pratico»”, edito da Castevecchi nel 2000. Oggi sappiamo che l’epilogo della sua vita spericolata c’è stato in un giorno di pioggia, di fine marzo, mentre tutti erano intenti a festeggiare una Pasqua meno gioiosa che chiama, a distanze di poche ore, due grandissimi della musica italiana, prima Enzo Jannacci, poi lui, il poeta romano.

Franco Califano, per tutti Er Califfo, si spegne a 74 anni nella sua casa di Acilia. Un cantante eccentrico, un poeta maledetto, che ha vissuto ai limiti della vita, conoscendo gioie e dolori, contraddizioni di una notorietà che porta a toccare il cielo con un dito ma fa conoscere anche cadute rovinose.

il_vittoriano_romaIn una società fortemente perbenista come quella italiana, una personalità forte, come quella del Califfo, non sempre è perdonata. Se gli esordi erano stati circondati da fama e successo, belle donne, tante, tantissime, come lui stesso amava vantarsi, la sua esistenza ha conosciuto anche gli eccessi di una vita vissuta sempre al massimo, passata tra concerti, night, alcool e droga, fino all’esperienza del carcere. Aria sbarazzina, contegno cinico, sprezzante, ma, in fondo, sguardo nostalgico e romantico, Califano si è spento mentre tutto intorno diventava noia, banalità, forse troppo pesante per un uomo che aveva fatto della leggerezza il cardine dei suoi anni migliori.

Se la vita è così breve, se tutto è così caduco e imperfetto, la leggerezza diventa un valore: ti fa assaporare ogni attimo, ti fa prendere a morsi la vita, senza conoscere rimpianti, senza lasciar posto a cervellotici calcoli di un’arida pesantezza. Un’anima ribelle, amante dei paradossi e degli eccessi, avrebbe forse meritato un epilogo diverso, meno sofferente. Lui, che aveva vissuto di leggerezza, dopo la pesantezza degli ultimi anni, lontani dai grandi successi e dai lustrini, ha oggi ritrovato la levità, libero di scorazzare tra i cieli immensi che ci sovrastano.

Playboy venuto dalle borgate, spregiudicato ma sensibile, dietro quel ghigno e quel timbro cavernoso, nascondeva un’anima profonda, capace di scrivere alcuni tra i più bei pezzi della storia della canzone italiana, ai quali spesso erano stati altri a dar voce. Sua era Minuetto, scritta con Dario Baldan Bembo e sua era La nevicata del ’56, testo scritto con Carla Vistarini, entrambe cantate dalla meravigliosa Mia Martini. Suo era il testo di La musica è finita, scritto con Nisa, su musica di Umberto Bindi e interpretata da Ornella Vanoni. Nel 1973 aveva poi firmato il successo con cui Peppino di Capri vinse Sanremo, Un grande amore e niente più, e nel 1974 scrisse, addirittura, un intero album, Amanti di valore, per la straordinaria Mina. Insomma, quanti di noi, senza neppure saperlo, sono stati piccolini califani, innamoratisi sulle note dei suoi testi!

Il Califfo, dietro quell’aria da burbero dannato, aveva un’anima straordinaria, capace di dar voce alla malinconia struggente, all’amore disperato, ai sogni nostalgici di noi inguaribili romantici. Simbolo di libertà e portavoce della genuina e popolare romanità, Er Califfo era più profondo di quanto si potesse immaginare osservandolo dall’esterno, senza conoscerlo. Oggi, in realtà, a parlare per lui, a lasciarci il ritratto più candido e sincero del Franco uomo, sono i suoi testi: pura e malinconica poesia.

Il necrologio più bello, forse, se l’era scritto da solo, come ha ricordato Rosario Fiorello, con cui aveva lavorato in Stasera pago io: il Califfo «diceva che voleva sulla lapide una sola frase: “Non escludo il ritorno” ». In fondo, lui che ci ha abituati a vederlo sempre in bilico, a vacillare sui bordi della vita, senza mai davvero precipitare, danzando con candore e irriverenza, potrebbe anche stupirci tutti con un coup de théâtre dei suoi.

Ti sia lieve la terra, Er Califfo, ti accolgano i cieli e gli angeli accompagnino le tue note.

Giuseppina Amalia Spampanato