non c'è libertà senza passione!

giornalismoMi sbaglierò, ma quando gli editori tirano in campo i giornalisti, osannandoli per le loro qualità professionali, io sento puzza di bruciato. Vecchio difetto di sindacalista obsoleto? Forse. L’elogio l’ha fatto ultimamente Giulio Anselmi, presidente della Federazione italiana editori giornali, che ha individuato nei giornalisti un pilastro fondamentale per “produrre giornali migliori e di qualità, usando le diverse piattaforme attraverso le quali si diffonde l’informazione”. Non ci voleva la zingara per rivelare questa verità che è anche però un’ovvietà. E chi, allora, meglio dei giornalisti può produrre giornali (ma non solo) che siano veramente tali? Se però si va a pescare in certi meandri della pseudo editoria, allora la domanda non è proprio scontata, come a primo acchito poteva apparire. Perché la tentazione di “usare” ragazze e ragazzi, al di là del titolo di giornalista, è forte. Non basta pagare i giornalisti due lire, nell’era delle piattaforme mediatiche qualcuno pensa che se ne possa fare a meno. La presa di distanza della FIEG da questi soggetti, ma anche da quelli che non rispettano il contratto di lavoro e l’equo compenso, dovrebbe essere categorica. Ne va della credibilità di tutta la categoria degli editori.

Non è un caso se Beppe Grillo, al di là di attaccare un giorno sì e l’altro pure i giornalisti nei suoi comizi, spara sui finanziamenti all’editoria. “Destinare gli ottanta milioni di euro di fondi diretti riservati all’editoria per finanziare le startup di nuovi progetti editoriali e risparmiare tre miliardi di euro delle Pubbliche amministrazioni abolendo l’obbligo di pubblicazione dei bandi di gara”. Sono i due punti cruciali contenuti nella proposta di legge del Movimento Cinque Stelle volta“all’abolizione del finanziamento pubblico all’editoria”. Iniziativa che avrà seguito? Forse non è il caso di ragionare con i numeri attualmente presenti in Parlamento per valutare se la proposta passerà o meno, ma con la sensibilità dei cittadini. E questa, sempre di più, vede la stampa come una sola cosa con i poteri economico, politico, giudiziario. Insomma, in fatto di credibilità, di autonomia, la considerazione dell’opinione pubblica, per usare un eufemismo, non è esaltante.

C’era una volta nel Paese un bipolarismo, forse meglio dire bipartitismo, che non si riscontrava solo in Parlamento, ma che aveva le sue ramificazioni anche in organismi rappresentativi della società civile. Una divisione in blocchi che premiava ora l’uno, ora l’altro schieramento. I giornalisti non potevano ritenersi immuni dalla divisione in raggruppamenti alternativi. Anzi, proprio perché più esposti di altre categorie professionali alle pressioni – o ai comandi? – dei vari poteri, perdevano sempre più credibilità nei confronti dell’opinione pubblica. Il rimedio ci sarebbe pure stato e avrebbe avuto effetto dirompente, ovviamente in positivo, sulla tenuta della democrazia nel nostro Paese. Bastava che i vari organismi rappresentativi dei giornalisti, Ordine e Sindacato, avessero alzato la bandiera dell’autonomia nei confronti dei “poteri” dominanti. Nessun appiattimento, né “pensiero unico” all’interno della Federazione della Stampa e dell’Ordine, ma dibattito serrato ed aspro nell’interesse della professione e soprattutto della “libertà di espressione”, nell’ottica però “dell’unità nell’autonomia”. Tutto questo non c’è stato e, francamente, rattrista e preoccupa l’eterna lite tra le due strutture portanti, comunque, della libertà d’informazione nel nostro Paese.

L’entrata in campo di Grillo apre altri scenari che impongono non la difesa di schemi superati, né l’armata Brancaleone contro i pentastellati, ma il ripensamento di un modo di fare rappresentanza sindacale e professionale non più attuale. Stessa cosa per la rivoluzione basata sulle nuove tecnologie e sull’uso multiplo delle piattaforme mediatiche (carta stampata, web, radio-tv) in continuo, per ventiquattro ore al giorno. Per riuscirci, e rendere economicamente compatibile questo progetto, gli editori ragionano con stereotipi pericolosi anche per la loro esistenza. Pensano di non mantenere gli attuali livelli del costo del lavoro e della professionalità. Ritengono di poter giocare sulla precarietà senza fine o, addirittura, sull’utilizzo dei non giornalisti. Una visione miope perchè il futuro avrà sempre più bisogno di giornalisti altamente professionalizzati, veri mediatori tra l’opinione pubblica e la notizia. Perché nel mare magnum dell’informazione (disinformazione?) continua, tutto è notizia e, per converso, niente è notizia. E il lettore, il radio-telespettatore, l’utilizzatore del web, alla fine si smalizierà e cercherà sempre di più la qualità, che poi significa certezza del “prodotto-notizia”.

Nel 1988, a Venezia, in un convegno sull’informazione e il potere in Italia, Cesare Romiti dichiarava: “Nessun giornalista può essere condizionato, se non lo vuole. Se voi giornalisti perdete l’indipendenza, è più colpa vostra che degli editori”. E, ancora: “Cari giornalisti, siete voi che fate la libertà di stampa. Tiratevi su i pantaloni!”. Al potente Romiti, molto tempo prima, aveva già risposto il più potente e navigato Winston Churchill: “Io non parlo mai con i direttori. Io parlo soltanto con le proprietà dei giornali”.

La morale è che o la categoria resta unita – “tirandosi su i pantaloni!” – e prova a riacquistare credibilità nell’opinione pubblica, anche attraverso un’operazione di autoriforma condivisa (Ordine, Sindacato, Enti collaterali, Codici deontologici, Scuole di giornalismo, ecc), o il declino è assicurato anche per le “telefonate” dei potenti che non potranno mai accettare l’autonomia del giornalismo, la potranno solo subire a tutto vantaggio della democrazia.

di Elia Fiorillo