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Gian Marco Chiocci – Simone di Meo,  “De Magistris, Il pubblico ministero. Biografia non autorizzata”

          prefazione di Filippo Facci, Rubbettino editore 2013, pagg. 451

            “La legge è uguale per tutti, tranne per i magistrati. Forse perché nei tribunali ce l’hanno scritto alle spalle e fanno fatica a girarsi”. Questo è uno degli aforismi, tra i più citati, che Giulio Andreotti coniò molto prima che avesse inizio la sua vicenda giudiziaria. Una concezione che, purtroppo, sta diventando un sentire comune – che certo non fa bene alla credibilità dello Stato democratico – per “protagonismi  fuorvianti”, tra l’altro, da parte di magistrati che non tengono nel dovuto conto la funzione “terza” propria della magistratura.

            “La fiducia degli italiani nell’affidabilità del ricorso alla giustizia è nettamente inferiore alla media europea, la maggioranza degli italiani è convinta che i giudici non siano imparziali” (1)

Sono tanti i magistrati che svolgono il proprio lavoro in silenzio, dedicando la propria esistenza al “Servizio” della Giustizia, non ritenendosi assolutamente dei giustizieri. Altri, invece, non hanno minimi dubbi sull’opportunità e giustezza delle loro prese di posizioni. Sono talmente sicuri di essere nel giusto, e di avere tutti contro, che utilizzano in particolare i media per enfatizzare i loro convincimenti in modo che la “mediaticità” sia un antidoto alla voglia d’insabbiamento che, a loro avviso, i “potenti” hanno sempre, e comunque, intenzione di esercitare. E’ ovvio che anche la stampa ha le sue responsabilità quando – al di là dei tanti (troppi) codici deontologici – si presta a operazioni di supporto interessato. C’è, insomma, “una certa pericolosa propensione del mondo dell’informazione a trasformare un pubblico ministero nel <giustiziere della notte>”. (Pag.29)

            Il libro di Chiocci e Di Meo, oltre a fotografare comportamenti professionali del P.M. de Magistris, danno l’immagine di una magistratura che fa fatica a difendersi dai <giustizieri della notte>, in servizio permanente effettivo, anche perché il connubio con un certo tipo di stampa, spesso alla ricerca di notizie sensazionali, da prima pagina, carica l’opinione pubblica di un’emotività fuorviante e pericolosa, a tutto scapito della ricerca della verità.

            I giudici parlano solo attraverso le sentenze sostiene la maggior parte dei magistrati avvicinati dai giornalisti. Il magistrato, in particolare il P.M., non è il  protagonista del processo, quando lo diventa c’è qualcosa che non funziona e con molta probabilità quello che dovrebbe essere “un giusto processo” diventa “ingiusto” perché il giudice non è più terzo ma primo attore di tesi che nemmeno difronte a fatti incontrovertibili è disposto a cambiare. Il processo a Enzo Tortora è il caso emblematico di malagiustizia da tenere sempre a mente. Ma anche, per rimanere nel mondo dello spettacolo, l’arresto avvenuto nel 1996 di Gigi Sabani, poi prosciolto per i reati addebitatigli, il cui P.M. che lo fece arrestare si sposò con la sua ex fidanzata (Pag. 9), e si potrebbe continuare con altri esempi.

            Gli autori, nella presentazione del testo, affermano: “Una sovraesposizione mediatica, quella di de Magistris, che fin dall’esordio ha offerto il fianco a chi lo criticava per mortificare l’essere a tutto vantaggio dell’apparire”. E, ancora, “Un uomo – riferendosi a de Magistris – che non ha provato imbarazzo a demolire tre secoli di filosofia del diritto, da Montesquieu ai giorni nostri, scrivendo: <giustizia e potere non possono coincidere, in quanto la giustizia, per realizzarsi, si mette contro i poteri. I poteri di  per se’ tutto realizzano fuorché la giustizia. Basti pensare al potere economico, finanziario, a quello statuale, governativo o parlamentare, che realizzano anche e più profonde ingiustizie. La  realizzazione della giustizia è qualcosa che non deve appartenere solo alla magistratura come ordine>”. (Pag. 17) Convincimenti talmente radicati e totalizzanti che non potevano non condizionare l’azione inquirente del magistrato de Magistris. La politica è al centro delle sue attenzioni di P.M.. Il suo pensiero fisso è di: “Fare la guerra alla politica. Scassarla. Ridurla ad ancella del potere giudiziario”. (Pag. 29). E, in quest’ottica, non fa differenza tra il centrodestra e il centrosinistra. Le sue posizioni radicali sulla politica cambiano quando lascia la magistratura e diviene lui stesso un “politico”. “Questo Paese – afferma –, nel bene e nel male, è stato troppo condizionato dall’attività giudiziaria” (Pag.30). Non è mai troppo tardi per riconoscere i propri errori. Ma, scrivono gli autori: “Per arrivare a quel ripensamento, però, parecchia acqua dovrà scorrere. E parecchi poveri cristi dovranno finire sotto i ponti”. Certo, colpisce la presa di posizione dell’ex magistrato, diventato sindaco di Napoli, che chiede le dimissioni dei magistrati che l’hanno condannato per abuso d’ufficio nell’acquisizione delle intercettazioni telefoniche nell’inchiesta “Why not”. Non si dovevano permettere di condannarlo.

            Nel libro di Gian Marco Chiocci e Simone Di Meo sono diversi i “racconti” che vedono il P.M. de Magistris in contrapposizione con altri giudici. In particolare con il GIP Maria Vittoria Marchianò, “il giudice, insomma, che ridimensiona alcune delle più clamorose inchieste del nostro”. (Pag.71) Il caso finisce al CSM, che deve esprimersi se in una determinata inchiesta ci sono stati condizionamenti sui giudici. Alla denunzia di de Magistris vengono allegate intercettazioni tra il principale  imputato e “alcuni magistrati del distretto di Catanzaro, tra cui – appunto – il GIP Marchianò.” Come per miracolo, la notizia riservatissima in tempo reale viene diffusa dall’agenzia ANSA. “Ma la prima commissione del CSM non accerterà alcunché di anomalo nella gestione del fascicolo da parte del GIP“. (Pag.71) Diceva F. Bacon: “Calunnia con spudoratezza, qualche cosa resterà sempre” (Pag.77).

            Nel processo istruito da de Magistris, che vede imputato per abuso d’ufficio il presidente della Regione Calabria, Agazio Loiero, il P.M., Salvatore Curcio, che sostituisce de Magistris – in ferie ed in procinto di partire per Napoli dov’è stato trasferito – non ha difficoltà a dichiarare: “Gli elementi raccolti non coinvolgono la persona di Loiero e per questo il P.M.  chiede una sentenza di non luogo a procedere”. (Pag.75) Pochi giorni dopo l’incriminazione di Loiero nel registro degli indagati il settimanale “L’Espresso” pubblica le intercettazioni dell’inchiesta. Resta, anche stavolta, un mistero su chi le inviò al giornale.

De Magistris qualche dispiacere personale, derivante da inchieste non andate come lui voleva che andassero, l’ha subito. Secondo il P.M., in base all’acquisizione ed alla successiva comparazione delle utenze cellulari di alcuni imputati ad opera del consulente Giocchino Genchi, l’avv. Giancarlo Pittelli, difensore di diversi imputati, è un “intoccabile”. “Ha rapporti strettissimi con pezzi significativi della magistratura. Un personaggio in grado di <sistemare> addirittura processi“. (95). “L’intoccabile”  Pittelli, si sente  “toccato”, ovvero diffamato dal P.M.. E non esita a citare de Magistris “in giudizio davanti al Tribunale di Milano  per chiedergli 500.000 euro di risarcimento danni. Inutilmente il P.M. cercherà lo scudo dell’immunità che però l’Europarlamento gli negherà”. (Pag. 96) All’uscita del libro, ottobre 2013, la causa non era stata ancora definita.

Tanti i potenti che finiscono nelle indagini di Luigi de Magistris. Da Romano Prodi, accusato d’abuso d’ufficio, al Guardasigilli dell’epoca Clemente Mastella. La cosa che lascia perplessi, dopo la smentita ufficiale che il ministro della Giustizia era indagato, è l’iscrizione del “politico di Ceppaloni nel registro degli indagati il 14 ottobre 2007, ovvero tre settimane dopo che lo stesso Guardasigilli, sulla base della relazione degli ispettori del Ministero, ne ha chiesto il trasferimento d’urgenza per la gestione di un’altra inchiesta, Toghe lucane: 30 indagati, 30 proscioglimenti”. (Pag. 113) Per de Magistris non è accettabile che gli sia stato sottratto il fascicolo per incompatibilità, anche se, al di là delle norme, solo il comune buon senso vorrebbe che un P.M. non possa indagare sul ministro che ha appena chiesto il suo trasferimento. “Su Mastella, de Magistris ha agito in malafede”. Lo sostiene  il procuratore di Catanzaro, Mariano Lombardi, che continua: “Non so cosa ci sia dietro e chi tira le fila. Inoltre, nell’iscrivere il Ministro nel registro degli indagati e parlando di condotta in atto, aveva l’obbligo di trasmettere gli atti al Tribunale dei ministri. Non facendolo viola la  legge”. Il procuratore Lombardi continua sostenendo: “…de Magistris ha voluto provocare l’avocazione dell’inchiesta Why not. E’ un modo per uscire da eroe senza vedersi smascherato nel bluff. Infatti è quello che sta succedendo”. (Pag. 117)

Giudici contro legge o fuori dalla legge? Scrive Francesco Cossiga in merito a certi conflitti tra magistrati: “…Finché si indagano tra di loro e forse anche tra loro si arrestano, non violano la libertà dei cittadini!” (Pag. 131)

                        Michele Mastrosimone è il presidente dell’”Associazione vittime di de Magistris”, costituita a Catanzaro. Egli  afferma: “Il sindaco che oggi parla di legalità e di sviluppo sostenibile non si è fatto scrupolo di mandare sul lastrico ditte e famiglie. Come associazione – continua –  volevamo chiedergli il risarcimento dei danni, ma purtroppo la responsabilità civile dei magistrati è a carico dello Stato. E abbiamo abbandonato l’idea. Siamo convinti  che nessun giudice condannerà un collega”. (Pag. 178)

                        A sostenere l’accusa nel procedimento disciplinare contro de Magistris, scaturito dall’indagine degli ispettori del ministero della Giustizia, è il sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione, Vito D’Ambrosio. Tra l’altro D’Ambrosio afferma che la magistratura è: “l’unico potere che ha una capacità delegittimante enorme” e che “può incidere sulla capacità personale, senza limite (…) e questo è accettabile, se teniamo conto di quel limite”. “Da questo punto di vista – afferma il sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione -, il dottor de Magistris non dà le necessarie garanzie. Infatti Egli reagisce ai comportamenti dei dirigenti dell’ufficio con strumenti del tutto estranei agli strumenti del processo.”  In merito ai rapporti con la stampa il dott. Vito D’Ambrosio afferma: “Un magistrato che mantiene rapporti con i mezzi d’informazione del  tutto anomali, usando i suoi rapporti privilegiati per fare pubblicità a se stesso e alla sua attività professionale. Una vera e propria campagna mediatica, con dichiarazioni allarmanti e prive di equilibrio: non è questo, il modello di magistrato, che la Costituzione voleva (…). Non è questo, il modello di magistrato di cui necessita una democrazia ordinata”. (Pag. 190-191)

De Magistris nel processo disciplinare viene difeso da Sandro Criscuolo, presidente della I sezione della Corte di Cassazione e futuro componente della Corte Costituzionale. Nemmeno con il suo difensore andrà d’accordo. Lo segnalerà ai P.M. di Salerno perché, a suo dire, lo avrebbe tratto in inganno in merito ai tempi per il deposito dell’appello. Comunque, de Magistris ritiene che il suo difensore è stato troppo cauto: ”Ha affrontato il processo come se fosse un procedimento disciplinare qualunque, svolto davanti a un giudice imparziale, invece… si è giocata una partita truccata, l’esito era già stabilito”. Sostituirà il dott. Criscuolo, nella difesa di de Magistris, il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, “suo futuro alleato nell’avventura di Rivoluzione civile, scaricato anche lui all’indomani del voto”. (Pag. 192)

                        De Magistris viene condannato dal CSM: deve lasciare funzioni e sede. Ricorda così la notte della condanna: “Un dolore atroce, incancellabile. Dentro di me,  senza alcuna presunzione, avevo – come ho anche oggi – la consapevolezza di aver agito sempre nel rispetto della legge e della Costituzione; di essere stato, per correttezza e onestà, un magistrato al quale nulla si poteva rimproverare”. (Pag. 198) Scrive Moliere: “Bisognerebbe fare un lungo esame di coscienza prima di pensare a criticare gli altri”.(Pag. 211)

                        I rapporti con la stampa de Magistris li ha sempre curati molto. Partecipa per  due volte alla trasmissione “Annovero per raccontare la sua vita da Grande Vittima. In TV  ne aveva discusso con Michele Santoro, cognato del GIP Maria Teresa Belmonte che l’aveva assolto” (Pag.217) da alcuni procedimenti in cui il PM si era trovato coinvolto: archiviazione denuncia per i fatti di Toghe lucane dei coniugi Cannizzaro; assoluzione, in primo grado, per omissioni d’atti d’ufficio nel procedimento nato dalla denuncia di un commerciante di Lecce. Secondo il deputato napoletano Amedeo Laboccetta, e per altri 40 parlamentari che firmeranno un’interrogazione, Michele Santoro è colpevole di aver creato il “personaggio“ de Magistris: “Offrendo così all’imputato sottoposto al vaglio della moglie di suo fratello – sempre secondo il ragionamento di Laboccetta – la possibilità di accreditarsi mediatamente quale <vittima di un complotto> ordito da altri magistrati”. (Pag. 217-218) Per de Magistris, invece, “Il grande merito di Annovero grazie alla professionalità delle persone che ci hanno lavorato – spiega – è stato proprio quello di dare risalto nazionale a una vicenda giudiziaria drammatica, a una rivoluzione popolare che era in atto in Calabria, che altrimenti sarebbe passata quasi sotto silenzio”. (Pag. 219) Scrive Jorge Luis Borges: “Stampando una notizia in grandi lettere, la gente pensa che sia indiscutibilmente vera”. (Pag.221)

                        “La politica non mi è mai interessato. Mio padre era un magistrato e magistrato era anche mio nonno mentre il padre di mio nonno era uditore giudiziario nel 1868. Io cerco soltanto di continuare la loro opera, nel solco di una tradizione familiare che è sempre stata al servizio dello Stato e della giustizia”. (Pag.186) Non è detto che nella vita non si possa cambiare idea. E de Magistris, infatti,  la cambia. “La toga d’assalto decide di dire sì alla candidatura offertagli al volo da Antonio Di Pietro per un posto all’Europarlamento”. (Pag. 229) Le motivazioni – tra le altre – che sarebbero alla base della scelta di entrare in politica sarebbero dovute anche al fatto “di essere stato deluso, a suo dire, da colleghi <che stimavo>. Fa qualche nome: <Gente come Armando Spataro o Claudio Castelli, magistrati che apparivano in un modo e che ho scoperto, con il tempo, diversi. Magistrati  non in grado di affrontare la questione morale all’interno della categoria>”. (Pag.230) Ma de Magistris, anche in politica, da subito  comincia a fare il “bastian contrario”: ”<Potevo essere una risorsa per la sinistra>, rimugina, <ma alla fine chi mi ha offerto una candidatura? Chi mi ha dato la possibilità di trasportare in politica la mia esperienza, la mia riconoscibilità nella società civile? Di Pietro>”. (Pag.232) “Quasi a dire: io che sono un cavallo di razza sono costretto a correre come puledri di seconda fascia. Bella riconoscenza”. (Pag. 233) Conquistato il seggio a Strasburgo, quasi da subito gli sta stretto. Gl’interessa il bel Paese. Paolo Flores d’Arcais gli prospetta, a nome dei dissidenti IDV, di candidarsi a governatore della Campania, in rotta con la linea dei democrat che appoggiano Vincenzo de Luca, sindaco – indagato – di Salerno. Ma a de Magistris non interessa la Regione Campania, anche perché sa di avere poche chance. ”Aspetta un’altra occasione. Quella per il Comune di Napoli. Ma all’appuntamento con le amministrative mancano ancora parecchi mesi, deve aspettare il turno senza strafare.” (Pag.239) Di pensieri in testa ne ha parecchi in quel periodo: “Il GUP Mellace di Catanzaro gli ha appena demolito l’inchiesta della vita, la tanto amata Why not”. (Pag.239) Per de Magistris: “In Calabria la legge non è uguale per tutti. C’è un numero vergognosamente basso di condanne per corruzione. E non essendo questa la regione più pulita d’Italia va detto che a Catanzaro la questione morale investe la magistratura quanto la politica. L’inchiesta  Why not è fallita per colpa dei magistrati che l’hanno condotta dopo di me… Non hanno applicato la legge, semmai la legge è stata piegata ai loro scopi”. A queste affermazioni viene da chiedersi: “Ci troviamo di fonte a giudici <contro legge o fuori-legge>?

            Il 30 maggio 2011 Luigi de Magistris, con il voto di appena un terzo dei napoletani, diventa “‘o sindaco” di Napoli. Il primo giugno già dichiara al quotidiano “Il Mattino”: “Ho un sogno che potrebbe concretizzarsi: portare il presidente degli Stati Uniti d’America per Natale in città. Negli States sono molto attenti a questo fenomeno napoletano del movimento civico che mi sostiene, i contanti sono frequenti”. (Pag.264) E’ l’inizio per de Magistris di un’altra vita, non meno agitata di quella precedente.

            Il libro di Gian Marco Chiocci e Simone Di Meo si chiude con un’intervista all’ex P.M. diventato sindaco di Napoli. Nella penultima domanda gli autori interrogano così il sindaco: “Dopo l’esperienza di sindaco che si inventerà de Magistris?”

“Non  programmo più perché la vita mi ha insegnato a non farlo. Ci sono altri tre anni da sindaco, penso di aver fatto un errore a schierarmi nella campagna elettorale per Ingroia, quindi nel tempo che resta non mi schiererò con nessuno….Quanto alla magistratura deve essere autonoma ma deve anche finire la stagione di quanti talvolta cercano, anche indirettamente, di condizionare la politica. Perché  questo Paese, nel bene e nel male, è stato troppo condizionato dall’attività giudiziaria”.  (Pagg. 391 – 392) Se lo dice lui, l’ex P.M. Luigi de Magistris, come si fa a non credergli?

Nota 1 – Corriere della sera del 10 novembre 2014. Pag. 1 – Sabino Cassese –“La grigia miopia della giustizia.”

di Elia Fiorillo