non c'è libertà senza passione!

Una volta c’erano i prefetti di “ferro”.  Cesare Mori lo fu per antonomasia nella lotta alla mafia.  Oggi qualcuno pensa che al posto dei prefetti possano esserci  i sindaci.

Una volta c’erano i prefetti di “ferro”.  Cesare Mori lo fu per antonomasia nella lotta alla mafia. Soleva ripetere: “Se la mafia fa paura, lo Stato deve farne di più”. Altri tempi. Più efficace della paura è il convincimento che i cittadini devono avere nella bontà delle azioni

Ph Teresa Mancini 2013, www.ilcorrieredelledonne.net

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dello Stato. Per convincere però bisogna “educare. E qui il ragionamento si complica perché l’esempio è un metodo pedagogico attivo e spesso, proprio l’esempio negativo, assolutamente da non emulare, diventa un mezzo di cattivo insegnamento per i cittadini. Non bisogna fare mai di “tutt’erba un fascio” ma  esempi negativi  vengono a gogò dalla classe dirigente del Paese. Che, in verità, non è solo quella politica. Ed è troppo comodo addossare alla politica tutte le responsabilità delle inefficienze del Paese. La vicenda di “Mafia capitale” è l’esempio di come pezzi importanti della società civile sono rimasti indifferenti, se non compiacenti, ad operazioni truffaldine.

 Oggi qualcuno pensa che al posto dei prefetti di ferro possano esserci  i sindaci.  La mafia non c’entra stavolta.  E’ l’immigrazione il problema. Il prefetto Maria Augusta Marrosu è stata rimossa dal ministro dell’Interno Angelino Alfano per una vicenda di collocazione d’immigrati. Erano stati insediati in un condominio e i residenti erano insorti. Meglio affidare certi compiti ai sindaci eletti dal popolo sovrano?

La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.  Così recita l’art. 5 della Costituzione che, non a caso, parla di autonomie locali e d’indivisibilità della Repubblica. Ma, l’indivisibilità, s’intende anche per i comportamenti che le autonomie locali devono avere. Nel senso che se scelte del Governo prevedono norme, ad esempio, di ripartizione del flusso migratorio, che non vanno a genio a questo o quell’altro sindaco o presidente regionale, il dissenso ci può pur essere nelle forme civili, ma la norma si applica. E i prefetti devono farla applicare perché ricoprono quel ruolo difficile di terminali del Governo sul territorio. Pensare di affidare ai sindaci alcuni dei compiti che oggi hanno i prefetti in tema d’immigrazione significa rischiare di avere posizioni diverse nelle varie Regioni, ma anche nella stessa Regione. Insomma, nei fatti “scassare” l’indivisibilità della Repubblica. E significa anche mettere in difficoltà i sindaci stessi che sarebbero costretti ad operare, su tematiche delicatissime,  con il fiato sul collo dell’opinione pubblica. Oggi  strumentalmente  alcuni di loro, invece di svolgere un ruolo di educazione dei cittadini, alzano le mani scaricando tutto sul Governo e sulla sua longa manus, i prefetti.

Il 10 luglio del 2014 la Conferenza Unificata delle rappresentanze dello Stato, dei Comuni e delle Regioni stabilì criteri di ripartizione del flusso migratorio, ogni 10mila individui, in base ad una tabella concordata. Successivamente i tavoli regionali istituiti ad hoc, composti dai prefetti, dall’assessore regionale al ramo, dai sindaci, avrebbero assicurato la governance del territorio, distribuendo, in maniera condivisa,  i migranti. Insomma, un piano intelligente per gestire un vero esodo biblico.  La presa di distanza di alcune Regioni che hanno partecipato alla Conferenza la dice lunga sul vizio italico di girar le spalle alle cose concordate appena che c’è maretta nel proprio elettorato. In situazioni così delicate serve veramente l’unità che è un bene prezioso e che, purtroppo, viene tirato in campo solo quando fa comodo al raggiungimento di propri interessi. Negli altri casi la parola d’ordine è “autonomia”, senza se e senza ma.

di Elia Fiorillo