non c'è libertà senza passione!

In Rai un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo l’hanno tirato in molti. La nomina di Carlo Verdelli  a nuovo “direttore editoriale della offerta informativa della Rai” in altri tempi avrebbe suscitato polemiche e levate di scudi al limite della rivolta per lesa maestà.

I giornalisti e i direttori delle testate avrebbero visto nella nomina del direttore editoriale un freno alla loro libertà d’azione e d’informazione. Una longa manus dall’azienda (leggi potere politico imperante) per “uniformare” il pensiero delle testate giornalistiche. E invece non è successo niente, tranne un comunicato dell’Usigrai, il sindacato dei giornalisti della Rai, che lamenta  la scelta di un giornalista esterno all’azienda, che non ha competenze radio-televisive. Difronte all’ipotesi del piano di aggregazione delle sei attuali testate giornalistiche in due sole New-room integrate, piano già approvato dal vecchio Cda e dalla Commissione di vigilanza, la nomina di Verdelli è un passo indietro significativo.

Non è stata la voglia di discontinuità con il vecchio Cda a far cambiare rotta al nuovo Consiglio presieduto da Monica Maggioni e a Antonio Campo dall’Orto che dovrebbe essere, appena varata la riforma della Rai, il primo amministratore delegato della Tv di Stato. Solo la prudenza acquisita dopo una lunga esperienza in campo televisivo ha, probabilmente, spinto Campo dell’Orto a volare basso. In un’azienda complessa come la Rai, dalle varie ed imperanti anime politiche, un’operazione drastica di accorpamento avrebbe sollevato problemi di non facile gestione, per usare un eufemismo.  Meglio, allora, della fusione un direttore editoriale alle sue dirette dipendenze, che ha comunque l’ultima parola sul varo di “nuovi prodotti di informazione” nonché sulla “gestione delle priorità editoriali, anche di tipo straordinario” Sarà lui, insomma, che sceglierà se lanciare un’edizione straordinaria o meno. Certo, il contratto dei direttori delle  testate non si tocca, sono fatte salve “le prerogative e le facoltà garantite nel contratto”. E come poteva essere diversamente? Ma la “sana” (sic) – tenuto ovviamente conto del contesto di cui stiamo parlando – competizione tra le testate né potrebbe risentire.

Negli anni novanta la lottizzazione partitica dell’informazione alla Rai era un dato di fatto. Quasi una sorta di “pluralismo”  partitico  dell’informazione. C’era il Tg3 diretto da Sandro Curzi ribattezzato Telekabul, accusato di essere troppo filo Pci-Pds. Però gli ascolti positivi facevano capire che il Tg3 era seguito anche da ascoltatori che poi non votavano Pci-Pds. Il Tg3, all’epoca, fu anche denominato TeleOchetto dal nome del segretario del Pds, mentre il Tg2 diretto da Alberto la Volpe era detto TeleCraxi dal nome del leader del Psi. C’era poi il Tg1 la corazzata ammiraglia dell’informazione televisiva italiana diretta da Bruno Vespa, che con grande naturalezza aveva dichiarato che il suo “azionista di riferimento” era il segretario della DC Arnaldo Forlani.  Altri tempi che ci si augura di non dover rimpiangere.

Con i suoi ottantotto anni, Gianni Bisiach, che di televisione s’intende, ha ricordato in un recente convegno organizzato dalla Federazione unitaria degli scrittori italiani che ai tempi di Benito Mussolini, quando c’era l’Eiar, l’Ente italiano per le audizioni radiofoniche, i partiti in quella struttura non c’erano. C’era il governo dell’epoca, meglio c’era il duce Benito Mussolini. Ogni riferimento a Matteo Renzi pare fosse voluto.

Le ingerenze partitiche e governative è difficile evitarle nella gestione della Tv di Stato, però limitarle con qualche accorgimento si potrebbe. Ad esempio, utilizzare lo strumento del “sorteggio” potrebbe eliminare “padrinaggi” di vario genere. Dopo la selezione dei candidati alle varie cariche di vertice – attraverso valutazioni di curricula e audizioni – tra i primi tre classificati ci sarebbe il sorteggio. Una vera rivoluzione democratica. La nomina di Carlo Verdelli con un sistema simile avrebbe assunto un ben altro significato, smentendo certe supposizioni alla Gianni Bisiach. Ma una Rai così sarebbe sulla buona strada per assolvere al mandato di Servizio Pubblico che secondo Roberto Zaccaria, ex presidente Rai, è indicato nell’art. 3, comma 2, della Costituzione: “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

di Elia Fiorillo