non c'è libertà senza passione!

di Giorgia Sciamplicotti

Sono una donna, psicoterapeuta felicemente madre e moglie, con una bella famiglia alle spalle. Sono una persona fortunata, ho realizzato la vita che ho sempre sognato: un lavoro che amo e che mi consente di entrare in relazione con l’altro e di essergli di aiuto; ho un marito che amo e due figlie che adoro. Senza problemi e senza rimpianti. Quasi innervosisce in questo periodo storico di paure ed incertezze incontrare chi come me si ritiene completamente soddisfatto della sua vita. Eppure sono anche una donna che combatte un cancro e voglio raccontare la mia storia.

Febbraio 2012 il giorno precedente della partenza per una settimana bianca mi viene un’influenza che mi costringe a mandare la mia famiglia senza di me.

E’ la settimana del gelo record, della neve a Roma che impedisce qualunque attività. Io sono sola, immobilizzata a casa, ormai guarita, con i miei pazienti che mi sanno in vacanza e non so cosa fare.

Decido di approfittare e di fare i check up che noi donne facciamo annualmente. Un recente trasloco mi impedisce di avere il quadro chiaro di cosa dovrei effettivamente fare. Decido di iniziare dal seno e da un’eco pelvica. Sono casualmente i giorni giusti del mese e il meteo ha portato con se innumerevoli disdette e quindi trovo un appuntamento nel nostro Centro per effettuare i controlli. Come piace pensare a me, mia nonna, il mio angelo custode, mi ha protetta dal cielo e mi ha condotta ad anticipare i controlli.

Ecomammaria e mammografia, poi scopro, essere state fatte dopo nove mesi anziché dodici. Carcinoma della mammella con due linfonodi metastatizzati.

Uscendo dal Policlinico dopo la risonanza che il mio amico e collega mi ha fatto abbraccio il mio immancabile marito e piango.

Entro nel vortice dell’organizzazione dell’intervento e grazie all’incontro con un’oncologa eccezionale vengo presa per mano e condotta all’intervento. Tutto va per il meglio, mastectomia totale con pulizia del cavo ascellare. Ed ora chemioterapia, un trattamento tra i più forti vista la mia giovane età.

Ma io vorrei parlarvi di come ho affrontato tutto questo.

I miei studi mi avevano dato la teoria, i miei affetti mi hanno dato la forza, mia nonna mi ha dato il modello.

Già dopo il primo referto avevo deciso che non avrei consentito a questa cosa di rovinare un minuto di più di quelli strettamente indispensabili alla mia splendida vita.

Sono una donna fortunata e volevo continuare a sentirmici. Non avevo metastasi in giro, alla tac post operatoria ero pulita.

Prendo un’altra decisione: non voglio sentirmi vittima, non voglio che la paura e la sofferenza prendano il sopravvento, voglio che le mie figlie vedano la mia forza, non il mio dolore.

Per far questo ho bisogno di tanto aiuto e come in un trasloco fatto bene decido di portare con me in questo percorso le persone care e di chiedere a loro aiuto e sostegno. Mi accorgo di avere quello che con i miei pazienti chiamo un buon paracadute sociale. Una rete di persone che rendono la mia qualità della vita meravigliosa.

Prendo un’altra decisione: la malattia è una normale fase della vita e come tale non va nascosta, negata o taciuta, ma solo affrontata con coraggio e con il supporto di chi ti vuole bene. Alla prima chemio mi posto su Facebook e rendo pubblica la notizia. E questo mi consente di mettere in un cassetto la parrucca, di non essere guardata con imbarazzo, ma di consentire alle persone di parlare con me e di ironizzare rispetto alla mia condizione.

Mi pongo un altro ambizioso obiettivo: normalizzare la malattia. Voglio che le mie bambine, che i miei pazienti vedano che è possibile affrontare un periodo nero limitando i danni, continuando a fare risate davanti ad una pizza i giorni che la chemio consente. Voglio che loro crescano sapendo che il dolore, la sofferenza fanno parte della vita e come tale vanno affrontate e sopportate. Che la vita è un percorso a volte impegnativo e faticoso, arduo in alcuni casi, ma che le risorse per affrontarlo sono in noi e noi possiamo decidere quanto un dolore può allontanarci dall’essere felice. Posso decidere ad esempio se ritenermi una donna sfortunata che a 44 anni si è già operata innumerevoli volte di cui tre al seno, ma poi guardo alla fortuna che ho avuto a fare quel controllo in anticipo, guardo alla mia vita piena di affetti e di persone che sono disposte a farsi una risata con me sulla mia capoccia pelata sorrido e penso di non voler cambiare nulla della mia vita.