non c'è libertà senza passione!

di Giuseppina Amalia Spampanato

Romanzo di una strageMarco Tullio Giordana ripercorre una delle pagine più drammatiche e dolorose della storia italiana del dopoguerra: la strage di Piazza Fontana. 12 dicembre 1969, ore 16. 37, nel centro di Milano, l’esplosione alla Banca Nazionale dell’Agricoltura, in cui morirono diciassette persone e ottantotto furono ferite, inaugurò l’inizio degli anni di piombo e della “strategia della tensione”.

Giordana sceglie di raccontare questa storia attraverso tre personaggi che pagarono con la vita anni di follie e violenze: il commissario di polizia Luigi Calabresi, interpretato da Valerio Mastandrea, il ferroviere ed anarchico Giuseppe Pinelli, al quale da voce e volto Pierfrancesco Favino, ed il politico Aldo Moro, che rivive nei panni di Fabrizio Gifuni. Tre uomini diversissimi tra loro, uniti soltanto da un’ideale di giustizia sociale e politica, in anni in cui su tutto aleggiava lo spettro della paura. Il regista, abile e scrupoloso, ci riporta sin dagli esordi del suo film nel clima di quegli anni. Siamo sul finire degli anni ’60, nell’aria si respira forte tensione, il Paese è paralizzato dagli scioperi, si lotta per il riconoscimento della tutela del lavoro. Sempre più frequenti sono in piazza gli scontri tra poliziotti, lavoratori e studenti. La scena politica è attraversata da più spinte; la rivalità tra il centro sinistra e il Pci è crescente. Ci sono gli anarchici, il radicalismo comunista dei Gap, la lotta armata e la sovversione operaia, i raduni fascisti.

Giordana affresca con magistrale realismo il quadro della società del tempo, tenendosi distante sia da una retorica sterile che dall’indicare ex cattedra la sua verità. Non si schiera, ma sceglie di raccontare uno spaccato della nostra storia recente lasciando la parola ai protagonisti di quegli anni bui e violenti. È forse la scelta migliore che potesse fare: raccontare a capitoli una storia piena di incongruenze e interrogativi, invitando lo spettatore a riflettere autonomamente, traendo le proprie conclusioni. Molti furono gli errori, i compromessi e le responsabilità di che avrebbe potuto far qualcosa per arrestare il corso degli eventi, ma scelse la strada più facile. Molti furono poi i depistaggi, le censure e la reticenza nel parlare di quegli anni, quasi a voler occultare e porre in oblio pagine di una vicenda troppo scottante, ricca di collusioni e patti innominabili. Pinelli, convocato la sera dell’attentato e interrogato per tre giorni, muore in circostanze misteriose, precipitando dalla finestra dell’Ufficio di Calabresi, che assente al momento del tragico evento, finisce per diventarne comunque vittima di una campagna denigratoria da parte di Lotta Continua. Lasciato solo, ‘implicato’ dalla Questura, continuerà a indagare sulla strage, scoprendo il coinvolgimento della destra neofascista veneta e la responsabilità dell’apparato statale. Non poté, però, svelare tutti i meccanismi oscuri di quegli anni: fu ucciso sotto casa da un commando di due persone. Nessuno rivendicò l’omicidio. Nessuno può dire quanto di vero ci sia nel Memoriale che Aldo Moro consegnò alle Brigate Rosse, in cui indicava nei rami deviati del SDI i mandanti di quelle stragi, appoggiati da forze oscure estere. Nessuno ancora oggi sa come davvero morì Pinelli, chi volle la morte di Calbresi, chi c’era dietro i terroristi neri. Tante domande, troppi impuniti.

Ispirato al libro Il segreto di Piazza Fontana di Paolo Cucchiarelli e sceneggiato da Sandro Petraglia e Stefano Rulli, oltre che dallo stesso Giordana, il film ha il coraggio della verità storica. Così Giordana spiega la scelta del tema: «Romanzo di una strage è rivolto soprattutto ai ragazzi più giovani, a chi non sa nulla di quegli anni ed ha il diritto di sapere. Il mio film è lontano da qualsiasi partigianeria e ideologia: serve a spiegare degli avvenimenti attraverso lo strumento dell’arte. Se Pasolini a proposito delle stragi scrisse «Io so, ma non ho le prove», dopo 40 anni possiamo fare nomi, ed è giusto farli».

Romanzo di una strage svela con l’eloquenza dei fatti un’Italia lacerata dalle contraddizioni, sporcata dal sangue di vittime innocenti, dove non c’è stata giustizia, dove troppi sono stati gli impuniti, e molti interni proprio allo Stato. La Legge dei tribunali, quella che dovrebbe tutelarci e fare giustizia, si è risolta troppo spesso in un’opera di rimozione, atta a dimenticare e nascondere, con prescrizioni e strane assoluzioni.